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domenica 30 aprile 2017

TROPPI FANTASMI IN GIRO PER L’EUROPA

di Norberto Fragiacomo
Piccolo ripasso di Storia formato bignami per le innumerevoli, virtuose Giovanne d’Arco che, autoproclamatesi “di sinistra” (a sinistra di che cosa? mistero…), votano o voterebbero Emmanuel Macron domenica prossima. Premessa dell’autore: queste righe, buttate giù per riempire qualche ora domenicale, sono e saranno del tutto vane - come si dice dalle mie parte, lavarghe la testa al mus se perdi tempo e savon.

Senza scomodare remoti precursori come Spartaco o Thomas Müntzer, che presero le armi contro chi opprimeva i lavoratori (rappresentati nel primo caso dagli schiavi, nel secondo da contadini e minatori di Turingia), rilevo che il Socialismo moderno nasce ai primi dell’Ottocento, in radicale opposizione allo sfruttamento bestiale della classe operaia da parte dei detentori del Capitale. Owen non è Weitling, né Weitling Karl Marx: possono variare metodi e strategie, ma il nemico individuato è sempre quello - il sistema di produzione capitalista, erede di regimi economici moralmente non “migliori”, ma senz’altro assai più inefficaci. La Commune de Paris sperimenta la solidarietà di classe, soprattutto di quella egemone: prussiani ed esercito francese, Kaiser Guglielmo e Thiers mischiano le loro artiglierie per bombardare la capitale. Ovviamente non sono i finanzieri o i ministri a caricare i cannoni: loro si limitano a dare gli ordini, ma – di solito – un tanto basta. Che il lavoro sporco tocchi agli artiglieri e ai dragoni non fa di costoro i responsabili della repressione (di taluni eccessi sì, ma rammentiamo i versi di Vecchioni: “ma i generali ci ricordano che l’uomo è vino, combatte bene e muore meglio solo quando è pieno”).

Marx, Engels, Lenin ecc. individuano chiaramente chi sia il nemico – e quel nemico non può essere il c.d. fascismo, semplicemente perché non è ancora sorto come movimento, e dunque non lo conoscono. Peggio per loro, sentenzierebbero indignati gli odierni macroniani: il fascismo andava previsto, se non altro perché iniziò ad affermarsi quando Vladimir Ilich era ancora vivo (ma poco vegeto, causa ictus), nei primi anni ’20.

Vero: ma che cos’è il fascismo degli esordi – il fascismo italiano intendo, perché altrove la “nuova destra” assume forme peculiari e diverse (talvolta palesemente reazionarie)? Un movimento repubblicano e rivoluzionario che, dopo la batosta elettorale del ’19, cambia radicalmente registro: non più lotta ai pescecani di guerra, bensì appoggio interessato a grandi industriali e agrari, che pagano bene. Il fascismo italiano rinasce come manovalanza di un Capitale arretrato: affermatosi, si affranca un po’ dall’ingombrante tutela, inventandosi una “terza via” (il famoso corporativismo) che però, a conti fatti, risulta più agevole da percorrere per i padroni che per i manovali. Mussolini e il PNF soccombono alla guerra, Agnelli e la Fiat no. Nei decenni repubblicani assistiamo a un revival: per ogni “idealista” che spranga (e spesso crepa male), c’è un fascio “savio” che spara a colpo sicuro o mette bombe per conto terzi (e sovente gli va di lusso). Manovalanza, come ai primordi.

Il nazionalsocialismo tedesco costituisce una variante sul tema: germoglia anch’esso a sinistra, tra i fumi e gli odori forti di una birreria monacense. Anton Drechsel è un socialista che odia gli ebrei in quanto epifanie del Capitale (Marx, che pure era di origini semite, non li amava granché); il ben più colto seguace Gregor Strasser è quasi un comunista. A imporsi però è il cinismo di Hitler, che irreggimenta il popolo e lo consegna al Capitale tedesco: lavoro per tutti, ma a stipendi calmierati. Poi guerra, bombardamenti e stermini: alla fine la iena di Braunau si spara, mentre Herr Krupp – che gli ha fornito le armi – resta al suo posto.

I due regimi durano, rispettivamente, ventidue e dodici anni (altro che Reich millenario!), ma neppure per un giorno eclissano il Capitale, che resta egemone. Commettono crimini odiosi il primo, indicibili il secondo: poi spariscono, rimpianti nei decenni successivi solo da sparuti drappelli di esaltati. Oggi non esistono semplicemente più, se non come reliquie maniacalmente custodite da pochi, anche se burbanzosi, adepti; prima non potevano addirittura esistere, perché stiamo parlando di degenerazioni del Socialismo che, perduta la loro ragion d’essere (cioè la conduzione della lotta di classe), finiscono rapidamente per svendersi al miglior offerente, a temporaneo beneficio di leader cinici e ambiziosi.

Il Capitalismo, invece, non è morto in culla: partorito nella Toscana ancora medievale, sella nel ‘500 le pecore inglesi - e con queste parte alla conquista del globo, fino a sostituirle con cavalcature più idonee e veloci, le locomotive (verranno poi gli aerei e i computer che, sotto certi aspetti, viaggiano alla velocità della luce). E’ con questo mostro in guanti bianchi che Karl Marx fa i conti, ne Il Capitale: conti evidentemente mai regolati, se è vero che, un secolo e mezzo dopo, noi riconosciamo nel medesimo sistema economico il patrigno delle attuali crisi, disoccupazione e austerità.

Nonostante l’evidenza, tuttavia, seguitano a ripeterci che il nostro nemico è il fascismo – un fascismo generico, buono per tutti gli usi, che nessuno si prende la briga di identificare: bastano il nome, l’etichetta, la parola. Fascismo e nazismo hanno commesso delitti infami: vero, verissimo, e hanno pure scatenato una guerra mondiale, la seconda. Non la prima, però, non quelle successive, che a quanto pare non hanno avuto bisogno di “fascismi” storici o astorici per detonare. E’ stata più che sufficiente l’avidità delle elite capitaliste.

Costa non poco dirlo, ma – con tutte le loro meschinità e nefandezze – i “fascismi” stanno diventando un comodo capro espiatorio, un anacronistico strumento di distrazione di massa: li si menziona volutamente a sproposito, per deviare l’attenzione dall’oscenità del presente. Un presente che assomiglia dannatamente al passato descritto e analizzato, nel suo svolgersi, da Robert Owen, Marx ed Engels, Lenin, Rosa Luxemburg ecc., in epoche in cui, come già detto, del fascismo non si era ancora sentito parlare.

Perciò mi sembra un’impudenza e una mancanza di rispetto alla Storia questa chiamata alle armi, echeggiante a sinistra, contro una “minaccia fascista” oggi inesistente, o comunque assai meno preoccupante della minaccia vera, autentica, rappresentata da quella forza che il Socialismo, quasi due secoli fa, è nato per contrastare e sconfiggere.

Certo, una qualche forma di fascismo potrebbe manifestarsi di nuovo, e andrebbe allora combattuta; ma si tratterebbe pur sempre di un nemico “collaterale”, di un satellite oscuro dell’avversario di sempre: il Capitale.

Ridurre il Socialismo a un antifascismo di maniera equivale a cancellarne l’intima sostanza, conservando il brand (non si sa mai!); invitare oggidì a votare l’iperliberista Macron, profeta di licenziamenti e privatizzazioni, significa passare definitivamente dall’altra parte, quella della finanza e del padronato. Il biglietto è di sola andata, cari ex compagni, ma non vi angustiate: sulla sponda opposta troverete piacevole compagnia, visto che quasi tutti i fautori del liberismo si professano schifati dalla rozzezza fascista e lo sono, ricorrendovi soltanto in caso di necessità e urgenza. Guarderanno con sufficienza pure voi, s’intende, ma non bisogna offendersi: almeno una cosa dovreste rammentarla, che il rapporto fra padrone e servo raramente è paritario.

Il marxista serio, invece, resta fedele alla consegna ricevuta: opporsi non ai fantasmi, ma a ciò che – oggi come l’altroieri, e più di ieri – schiaccia la classe lavoratrice. Tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, indubbiamente, chi può far più male è il secondo: operai e impiegati francesi l’hanno già capito, il leader del PCF no.

Forse è questione di solidarietà fra spettri…

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