di Norberto Fragiacomo
Piccolo
ripasso di Storia formato bignami per le innumerevoli, virtuose Giovanne d’Arco
che, autoproclamatesi “di sinistra” (a sinistra di che cosa? mistero…), votano
o voterebbero Emmanuel Macron domenica prossima. Premessa dell’autore: queste
righe, buttate giù per riempire qualche ora domenicale, sono e saranno del
tutto vane - come si dice dalle mie parte, lavarghe la testa al mus se perdi
tempo e savon.
Senza
scomodare remoti precursori come Spartaco o Thomas Müntzer, che presero le armi
contro chi opprimeva i lavoratori (rappresentati nel primo caso dagli schiavi,
nel secondo da contadini e minatori di Turingia), rilevo che il Socialismo
moderno nasce ai primi dell’Ottocento, in radicale opposizione allo
sfruttamento bestiale della classe operaia da parte dei detentori del Capitale.
Owen non è Weitling, né Weitling Karl Marx: possono variare metodi e strategie,
ma il nemico individuato è sempre quello - il sistema di produzione
capitalista, erede di regimi economici moralmente non “migliori”, ma senz’altro
assai più inefficaci. La Commune de Paris sperimenta la solidarietà di
classe, soprattutto di quella egemone: prussiani ed esercito francese, Kaiser
Guglielmo e Thiers mischiano le loro artiglierie per bombardare la capitale.
Ovviamente non sono i finanzieri o i ministri a caricare i cannoni: loro si
limitano a dare gli ordini, ma – di solito – un tanto basta. Che il lavoro
sporco tocchi agli artiglieri e ai dragoni non fa di costoro i responsabili
della repressione (di taluni eccessi sì, ma rammentiamo i versi di Vecchioni: “ma
i generali ci ricordano che l’uomo è vino, combatte bene e muore meglio solo
quando è pieno”).
Marx, Engels,
Lenin ecc. individuano chiaramente chi sia il nemico – e quel nemico non può
essere il c.d. fascismo, semplicemente perché non è ancora sorto come
movimento, e dunque non lo conoscono. Peggio per loro, sentenzierebbero
indignati gli odierni macroniani: il fascismo andava previsto, se non altro
perché iniziò ad affermarsi quando Vladimir Ilich era ancora vivo (ma poco
vegeto, causa ictus), nei primi anni ’20.
Vero: ma che
cos’è il fascismo degli esordi – il fascismo italiano intendo, perché altrove
la “nuova destra” assume forme peculiari e diverse (talvolta palesemente
reazionarie)? Un movimento repubblicano e rivoluzionario che, dopo la batosta
elettorale del ’19, cambia radicalmente registro: non più lotta ai pescecani di
guerra, bensì appoggio interessato a grandi industriali e agrari, che pagano
bene. Il fascismo italiano rinasce come manovalanza di un Capitale
arretrato: affermatosi, si affranca un po’ dall’ingombrante tutela,
inventandosi una “terza via” (il famoso corporativismo) che però, a conti
fatti, risulta più agevole da percorrere per i padroni che per i manovali.
Mussolini e il PNF soccombono alla guerra, Agnelli e la Fiat no. Nei decenni
repubblicani assistiamo a un revival: per ogni “idealista” che spranga (e
spesso crepa male), c’è un fascio “savio” che spara a colpo sicuro o mette
bombe per conto terzi (e sovente gli va di lusso). Manovalanza, come ai
primordi.
Il
nazionalsocialismo tedesco costituisce una variante sul tema: germoglia
anch’esso a sinistra, tra i fumi e gli odori forti di una birreria monacense.
Anton Drechsel è un socialista che odia gli ebrei in quanto epifanie del
Capitale (Marx, che pure era di origini semite, non li amava granché); il ben
più colto seguace Gregor Strasser è quasi un comunista. A imporsi però è il
cinismo di Hitler, che irreggimenta il popolo e lo consegna al Capitale
tedesco: lavoro per tutti, ma a stipendi calmierati. Poi guerra, bombardamenti
e stermini: alla fine la iena di Braunau si spara, mentre Herr Krupp – che gli
ha fornito le armi – resta al suo posto.
I due regimi
durano, rispettivamente, ventidue e dodici anni (altro che Reich millenario!),
ma neppure per un giorno eclissano il Capitale, che resta egemone. Commettono
crimini odiosi il primo, indicibili il secondo: poi spariscono, rimpianti nei
decenni successivi solo da sparuti drappelli di esaltati. Oggi non esistono
semplicemente più, se non come reliquie maniacalmente custodite da pochi, anche
se burbanzosi, adepti; prima non potevano addirittura esistere, perché
stiamo parlando di degenerazioni del Socialismo che, perduta la loro ragion
d’essere (cioè la conduzione della lotta di classe), finiscono rapidamente per
svendersi al miglior offerente, a temporaneo beneficio di leader cinici e
ambiziosi.
Il
Capitalismo, invece, non è morto in culla: partorito nella Toscana ancora
medievale, sella nel ‘500 le pecore inglesi - e con queste parte alla conquista
del globo, fino a sostituirle con cavalcature più idonee e veloci, le
locomotive (verranno poi gli aerei e i computer che, sotto certi aspetti,
viaggiano alla velocità della luce). E’ con questo mostro in guanti bianchi che
Karl Marx fa i conti, ne Il Capitale: conti evidentemente mai regolati, se è
vero che, un secolo e mezzo dopo, noi riconosciamo nel medesimo sistema
economico il patrigno delle attuali crisi, disoccupazione e austerità.
Nonostante
l’evidenza, tuttavia, seguitano a ripeterci che il nostro nemico è il fascismo
– un fascismo generico, buono per tutti gli usi, che nessuno si prende la briga
di identificare: bastano il nome, l’etichetta, la parola. Fascismo e nazismo
hanno commesso delitti infami: vero, verissimo, e hanno pure scatenato una
guerra mondiale, la seconda. Non la prima, però, non quelle successive,
che a quanto pare non hanno avuto bisogno di “fascismi” storici o astorici per
detonare. E’ stata più che sufficiente l’avidità delle elite capitaliste.
Costa non poco
dirlo, ma – con tutte le loro meschinità e nefandezze – i “fascismi” stanno
diventando un comodo capro espiatorio, un anacronistico strumento di
distrazione di massa: li si menziona volutamente a sproposito, per deviare l’attenzione
dall’oscenità del presente. Un presente che assomiglia dannatamente al passato
descritto e analizzato, nel suo svolgersi, da Robert Owen, Marx ed Engels,
Lenin, Rosa Luxemburg ecc., in epoche in cui, come già detto, del fascismo non
si era ancora sentito parlare.
Perciò mi
sembra un’impudenza e una mancanza di rispetto alla Storia questa chiamata alle
armi, echeggiante a sinistra, contro una “minaccia fascista” oggi inesistente,
o comunque assai meno preoccupante della minaccia vera, autentica, rappresentata
da quella forza che il Socialismo, quasi due secoli fa, è nato per contrastare
e sconfiggere.
Certo, una
qualche forma di fascismo potrebbe manifestarsi di nuovo, e andrebbe allora
combattuta; ma si tratterebbe pur sempre di un nemico “collaterale”, di un
satellite oscuro dell’avversario di sempre: il Capitale.
Ridurre il
Socialismo a un antifascismo di maniera equivale a cancellarne l’intima
sostanza, conservando il brand (non si sa mai!); invitare oggidì a
votare l’iperliberista Macron, profeta di licenziamenti e privatizzazioni,
significa passare definitivamente dall’altra parte, quella della finanza e del
padronato. Il biglietto è di sola andata, cari ex compagni, ma non vi
angustiate: sulla sponda opposta troverete piacevole compagnia, visto che quasi
tutti i fautori del liberismo si professano schifati dalla rozzezza fascista e
lo sono, ricorrendovi soltanto in caso di necessità e urgenza. Guarderanno
con sufficienza pure voi, s’intende, ma non bisogna offendersi: almeno una cosa
dovreste rammentarla, che il rapporto fra padrone e servo raramente è
paritario.
Il marxista
serio, invece, resta fedele alla consegna ricevuta: opporsi non ai fantasmi, ma
a ciò che – oggi come l’altroieri, e più di ieri – schiaccia la classe
lavoratrice. Tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, indubbiamente, chi può far
più male è il secondo: operai e impiegati francesi l’hanno già capito, il
leader del PCF no.
Forse è
questione di solidarietà fra spettri…
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